DPCM 22 Marzo 2020

A volte, si ha l’impressione che sia tutto solo un brutto incubo, e che improvvisamente ci si possa svegliare nella nostra vecchia e noiosa vita di tutti i giorni…
Eccoci a commentare il quinto Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in poco più di due settimane, oltre a due decreti-legge e a innumerevoli circolari, ordinanze e linee guida: DPCM 22 marzo 2020 - Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale.
In buona sostanza, per quanto d’interessa, il provvedimento sospende, fino al 03 aprile prossimo, le attività produttive non essenziali e non strategiche, a eccezione delle attività indicate nell’Allegato I al decreto. E qui si può già notare come l’elenco delle attività che possono proseguire nella produzione è veramente molto lungo. Ciò dipende sicuramente dall’estrema interdipendenza dei vari comparti produttivi, ma anche, probabilmente, da scelte di natura politica.
Di conseguenza, le aziende che si riconoscono nei comparti del citato Allegato I possono proseguire normalmente nelle attività, beninteso mettendo in atto le necessarie misure di sicurezza e di protezione per prevenire il rischio di contagio da coronavirus (ovvero il famoso “Protocollo condiviso” di cui ci siamo già occupati ampiamente).
E qui apriamo una parentesi: il citato “Protocollo condiviso” era un provvedimento a carattere sostanzialmente volontario e non cogente, ma ora, essendo richiamato in modo “imperativo” dall’articolo 1 comma 3 del citato DPCM - “Le imprese le cui attività non sono sospese rispettano i contenuti del protocollo condiviso (…)” – parrebbe assumere un carattere cogente. Abbiamo detto “parrebbe” perché, per la verità, ci troviamo nel mezzo di un labirinto giuridico: un “protocollo” avente il carattere di “raccomandazione” ai sensi del DPCM 11 marzo può trasformarsi in un “protocollo cogente” per effetto del DPCM 22 marzo, che non ha però abrogato o modificato il precedente DPCM 11 marzo, e che anzi prevede (articolo 2 comma 1) che le prescrizioni del DPCM 22 marzo si applicano “cumulativamente” a quelle del DPCM 11 marzo? Comunque sia, raccomandiamo una sostanziale applicazione del citato “Protocollo condiviso”, in ogni caso da adattare alle specifiche realtà.
Tornando al DPCM 22 marzo 2020, le aziende non comprese nell’Allegato I, che devono quindi sospendere le attività, hanno però tempo fino al 25 marzo per organizzare la chiusura, spedire o ricevere materiali etc.
Una deroga riguarda le aziende con impianti “in continuo”, la cui chiusura comporti “grave pregiudizio all’impianto stesso” o pericolo d’incidente. In tal caso, l’azienda deve comunicare il mantenimento dell’attività produttiva al Prefetto.
Analogamente, possono proseguire le attività le aziende che, pur non comprese nell’Allegato I, “sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività di cui all’Allegato I”, sempre con contestuale comunicazione al Prefetto.
Si evidenzia inoltre che “Le attività professionali non sono sospese”, nel rispetto delle misure di sicurezza e di protezione per prevenire il rischio di contagio da coronavirus.
Il decreto precisa che le attività di cui all’Allegato I potrebbe essere soggetto a modifiche, e le roventi polemiche politiche e sindacali in atto non escludono di certo possibili variazioni.


 Redazione

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