Legionellosi: pubblicata la Linea guida CIIP (Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione)

Più volte, in passato, ci siamo occupati del “rischio legionellosi”, in primo luogo per la pubblicazione di un Accordo Stato Regioni in materia: seduta del 7 maggio 2015, repertorio atti n. 79/CSR, “Linee guida per la prevenzione e il controllo della Legionellosi”. Un Accordo che, di fatto, ha definito “lo stato dell’arte” in questa materia, sulla base delle conoscenze presenti nella letteratura scientifica internazionale.

All’epoca, avevamo ricordato come anche la legionellosi sia da annoverare tra i “rischi lavorativi” che il datore di lavoro deve valutare e prevenire, come evidenziato dallo stesso Accordo: “il rischio di esposizione a Legionella in qualsiasi ambiente di lavoro richiede l’attuazione di tutte le misure di sicurezza appropriate per esercitare la più completa attività di prevenzione e protezione nei confronti di tutti i soggetti presenti considerando che al Titolo X del suddetto D. Lgs 81/2008 la Legionella è classificata al gruppo 2 tra gli agenti patogeni”.

Nello specifico, trova applicazione l’articolo 271 Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81, con riferimento all’Allegato XLVI - “Elenco degli agenti biologici classificati”, in cui la Legionella è classificata di “gruppo 2”, ovvero “agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche” (così come definito dall’articolo 268 comma 1 lettera b) Decreto 81/2008).

In questo contesto, vogliamo segnalare una linea guida, pubblicata nel febbraio 2020, della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP): “Linee di indirizzo per la prevenzione della diffusione della legionella”.

Nel complesso, una panoramica critica sulla materia, svolta con concretezza e praticità, cercando di focalizzarsi sulle principali criticità, sia sostanziali, sia normative.


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Coronavirus: il protocollo sicurezza governo-parti sociali

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Sabato 14 marzo 2020 è stato firmato il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, finalizzato a permettere il proseguimento, in sicurezza, delle attività produttive nazionali.


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DPCM 11 Marzo 2020

In una incredibile accelerazione, eccoci a presentare il DPCM 11 marzo 2020 - Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale.

Tralasciando gli aspetti legati alla vita quotidiana, vogliamo focalizzarci sugli effetti legati alle attività produttive, di cui all’articolo 1 punti 7) e 8) del citato DPCM, che non sono soggette a un obbligo di “cessazione di attività”, quanto piuttosto a una serie di “raccomandazioni”. Nello specifico, viene “raccomandato” di:
•    utilizzare il più possibile il lavoro a distanza, o tele-lavoro;
•    ricorrere a periodi di ferie;
•    sospendere le attività “non indispensabili”;
•    assumere “protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale” (mascherine);
•    eseguire operazioni di sanificazione degli ambienti di lavoro;
•    limitare gli spostamenti all’interno delle aziende, “contingentando” l’accesso agli spazi comuni (mensa, spogliatoi etc..

In pratica
Per le aziende, in effetti non cambia nulla. Diventa tuttavia pressoché indispensabile predisporre un protocollo aziendale di prevenzione del rischio da esposizione a soggetti contagiati dal cosiddetto coronavirus. Il DPCM lo “raccomanda”, ma di fatto si tratta della condizione che permette il mantenimento in attività dell’azienda.

Inoltre, per quanto una infezione ubiquitaria quale è il cosiddetto coronavirus non possa essere ritenuto un vero e proprio “rischio lavorativo” nell’ambito non sanitario, la concreta e ragionevole possibilità, come le evidenze epidemiologiche stanno dimostrando, che un lavoratore possa essere contagiato a sua insaputa, anche con totale assenza di sintomi, e che possa quindi venire a trovarsi in ambito lavorativo, viene a configurare, di fatto, un “rischio biologico” per tutti i lavoratori, che il Datore di Lavoro è tenuto a valutare, prevedere e prevenire, ai sensi dell’articolo 28 comma 1 Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81.


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DPCM 09 Marzo 2020

Pare di essere di fronte a un vero incubo. Nemmeno il tempo di capire cosa era successo in Lombardia, con l’istituzione della cosiddetta “zona arancione”, che essa è stata estesa all’intera Italia, col DPCM 09 marzo 2020 - Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale (cliccare qui).
Tutte le regole e le restrizioni, nonché le possibilità di autodichiarazione, sono ora estese all’intero territorio nazionale.
Dalle Marche nuove “Linee guida” per le aziende
A supporto delle aziende, segnaliamo inoltre le recenti Linee guida elaborate dalle ASL della Regione Marche. In effetti, un documento molto pratico, con suggerimenti e consigli di immediata applicabilità, che potrebbero essere fatti propri, se già non attuati. Per scaricare il documento cliccare qui.
Nulla di nuovo, ormai la materia è consolidata, ma in effetti un paio di consigli potrebbero trovare posto nella tua informativa:
•    posizionare in vari luoghi, e non solo all’ingresso, dispensatori di gel igienizzante, o simili;
•    posizionare locandine che ricordino i comportamenti corretti (nei cantieri lo vedrei all’ingresso, nelle “baracche”, mense e simili).


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DPCM 08 Marzo 2020

Come a tutti noto, il DPCM 08 marzo 2020 ha trasformato l’intera Regione Lombardia, e molte altre provincie, in una cosiddetta “area a contenimento rafforzato”.
Riguardo alle modalità di spostamento delle persone fisiche, il Ministero dell’Interno ha emanato una specifica direttiva di chiarimento, con un modulo di autocertificazione.
Il punto 2) lettera a) della direttiva prevede che “gli spostamenti potranno avvenire solo se motivati da esigenze lavorative o situazioni di necessità o per motivi di salute da attestare mediante autodichiarazione, che potrà essere resa anche seduta stante attraverso la compilazione di moduli forniti dalle forze di polizia”.
Il successivo punto 3) precisa che “La veridicità dell’autodichiarazione potrà essere verificata anche con successivi controlli”.
In caso di uno spostamento non legittimo, trattandosi di una inosservanza di un provvedimento imperativo di un’autorità, è prevista una ammenda penale fino a 206 euro o, in alternativa, l’arresto fino a tre mesi, sempre che il fatto non costituisca reato più grave.
In pratica, il modello di autodichiarazione deve essere compilato dal soggetto che viaggia, ma nulla vieta che possa essere vistato, per conferma, dall’azienda.
Appare inoltre ragionevole, come suggerito da alcuni, che nel caso di spostamenti regolari, ad esempio tutti i giorni feriali per il medesimo percorso di “andata e ritorno”, si possa compilare un unico modello, con un prospetto degli spostamenti settimanali previsti. O che la stessa azienda possa predisporre un simile modello, sottoscritto dal lavoratore.


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